La Storia...
Alberese è stata un’antica fattoria agricola di proprietà, dal 1824 al 1859, del Granduca di Toscana Leopoldo II della casata degli Asburgo-Lorena d’Austria.
Il nome di Alberese deriva dalla pietra dei monti dell'Uccellina usata da sempre come materiale lapideo (calcare marnoso a grana fine di colore grigio) che nei piani di stratificazione sembra di poter intravedere piccole figure di “alberelli” (dendriti) costituiti da microperline di manganese.
Frazione del Comune di Grosseto dal 1957, Alberese è situata a sud del fiume Ombrone nel cuore del Parco Naturale della Maremma (nato per salvaguardare e conservare un inestimabile patrimonio faunistico, floristico, paesaggistico e culturale) di cui è la principale “porta” d’ingresso, in un territorio caratterizzato da un ambiente incontaminato formato da ampie zone boscate e dai coltivi delle aziende agricole e agrituristiche presenti tra i Monti dell'Uccellina, le colline di Grancia e il mare. È qui che nei grandi spazi aperti delle praterie vivono mandrie brade di cavalli, tori e vacche maremmane dalle grandi corna, mentre nei fitti boschi delle colline sono presenti cinghiali, caprioli e una ricca fauna minore oltre ad una numerosa avifauna nelle zone umide tipiche delle “maremme” (terre di transizione tra terra e mare).
La storia di questo territorio si perde nella notte dei tempi. Un territorio che è stato abitato fin dalla preistoria dall’uomo di Neanderthal tra i 35.000 e i 30.000 anni fa (grotta del La Fabbrica oltre alle altre 23 grotte naturali presenti nella zona) e successivamente per molti secoli dal popolo etrusco.
Dal periodo romano questo territorio ospitò importanti infrastrutture pubbliche, come la via Aurelia Vetus (241 a.C.) ammodernata poi da Aemilio Scauri nel 109 a.C., il porto di cabotaggio di Roselle sul fiume Ombrone e l’area sacra (dal I sec. a.C. alla metà del IV d.C.) con il tempio di Diana Umbronensis (la dea della caccia, delle fonti e della fauna, protettrice del vicino fiume Ombrone) sul promontorio dello Scoglietto, assieme a complessi residenziali e di sosta come la villa di Montesanto e la mansio di Hasta (all’incrocio tra la provinciale per la Stazione e la via del Molinaccio). Con il periodo greco-gotico e poi longobardo (tra il VI-VIII sec.) il paesaggio mutò notevolmente con l’abbandono delle campagne e dei centri abitati assistendo così ad un progressivo impaludamento dei laghi costieri della Maritima. Con l’inizio del medioevo si ha la costruzione del Romitorio dell’Uccellina (VIII-IX sec.) e, successivamente, la fondazione del grande complesso monasteriale benedettino di Santa Maria Alborensis detta volgarmente di “San Rabano” (citata nel 1101).
L’abbazia, dopo essere stata affidata dal pontefice romano nel 1303 al cardinale Teodorico, dal 1307 al 1321 passò ai Cavalieri Gerosolimitani di S. Giovanni di Rodi e successivamente annessa al Priorato di Pisa (vedi le tre croci scolpite sull’architrave d’ingresso) per essere nel 1336 occupata dai fuoriusciti grossetani con le loro milizie ghibelline di Vanni degli Abati detto il Malia in lotta con la Repubblica di Siena, che la trasformarono in un “fortilitium” con la costruzione della torre dell’Uccellina. Nel 1378 passo sotto il controllo di Siena, che nel 1438 la distrusse dopo averla messa a ferro e fuoco perché di nuovo occupata come rifugio da numerosi fuoriusciti e ribelli. A seguito di questi fatti divenne sede dell’eremita Rabano che non aveva niente a che vedere con il Santo Mauro Magnenzio di Magonza dell’ottavo secolo. Con la crisi dell'ordine monastico, l'Abbazia decadde in un completo abbandono dal 1474, anche a seguito delle continue incursioni dei pirati turchi, anno questo in cui i resti di una torre aldobrandesca, posta sulla collina a controllo del pedaggio della via Pubblica (citata nel 1298 in luogo della via Aurelia) e del sottostante piccolo villaggio della “curtis di Astiano” con Pieve, furono trasformati in un palazzo fortificato dal cavaliere e priore gerosolimitano di S. Giovanni fra Beuccio di ser Cristofano Capacci nobile senese, che vi trasferì la sede della prioria nel 1482. Così il castello con muraglie esterne divenne un prezioso deposito di grano che Cosimo I, dopo il 1561, lo assoggettò con le sue rendite al nuovo Ordine religioso e militare di Santo Stefano martire per il mantenimento della costituita flotta navale granducale. Pochi anni dopo i Medici, con una nuova infeudazione del territorio, concessero ai Principi Corsini la contea di Alberese oltre a rinforzare e implementare tutto il sistema di difesa delle torri costiere (in numero di 8) del periodo aldobrandesco e senese in chiave antiturca e antispagnola con una particolare attenzione a quelle de La Trappola (a bocca d’Ombrone) e di Collelungo.
Dopo una lunga fase di abbandono durata quattro secoli (due dei senesi con le transumanze e due dei fiorentini che portarono solo ad uno sfruttamento del territorio e rendendolo malsano e infestato dalla malaria) l’intera Maremma conobbe una nuova fase di sviluppo e crescita con l’arrivo, alla guida del Granducato, della famiglia imperiale di Vienna degli Asburgo-Lorena.
Con la morte di Giangastone dei Medici nel 1737 privo di eredi, il trono della Toscana trovò in due figli della casa reale, Pietro Leopoldo e il nipote Leopoldo II di Lorena, un moderno modo di pensare e di operare secondo le nuove idee dell’illuminismo europeo. Con loro il granducato conobbe la fase più innovativa della sua storia che portò ad attuare una solida politica agraria accompagnata da riforme per il commercio, per l'amministrazione pubblica e la giustizia (1786 abolizione pena di morte). Le sagge riforme favorirono l’attuazione delle grandi bonifiche idrauliche, la messa a coltura dei terreni incolti dopo l’esproprio degli stessi ad una classe di possidenti assenteisti della nobiltà e del clero con una successiva crescita demografica sul territorio.
Alberese, sotto i principi Corsini, così come attestato dal cabreo (catasto privato) del 1747-49, era costituita dal palazzo signorile, dalla chiesa (edificata 1587 dedicata a S. Giovanni Battista patrono dei gerosolimitani) ristrutturata nel ‘700 e dedicata a Sant'Antonio Abate (ove erano presenti due dipinti di Giuseppe e Nicola Nasini oggi trasferiti all'interno della chiesa parrocchiale), dal cimitero, dal Mulino del fosso Carpina, da una casetta di Val di Solco, da uno stanzone ad uso granaio ai Magazzini Alti, dalla Dispensa Nuova (osteria Le Frasche del 1756), dalla Burraia per la produzione del burro (1832) alle sorgenti dell’Acquaviva e da un fabbricato a Spergolaia.
Nel 1831 la tenuta di Alberese entrò a far parte dei beni delle “regie possessioni” granducali e nel 1839 Leopoldo II di Lorena l’acquistò insieme a quella della Badiola di Castiglione della Pescaia per la somma di lire toscane 1.313.757 di allora (oggi paragonabili a diverse decine di milioni di euro) per dare il buon esempio ai possidenti toscani di investire in Maremma per la formazione di un nuovo appoderamento mezzadrile. Così furono intraprese imponenti opere di bonifica e di miglioramento agrario. Nel 1840 fu ampliato e ristrutturato il palazzo, la casa canonica e il frantoio e successivamente furono realizzati le stalle e i fienili di Finilessa (primo embrione della Piazza del Combattente), il casamento di Vaccareccia, un capannone per macchine trebbiatrici a Spergolaia, la casa per pastori a Banditella, un capannone per allevamento dei bachi da seta ai Magazzini Alti e una cava di marmo bianco sulla via regia per i lavori di restauro della facciata del Duomo di Grosseto. Nel 1846 il giardino della villa granducale fu arricchito da una copia in pietra del famoso “porcellino” del grande scultore barocco Pietro Tacca del 1633 posto sotto le Logge del Mercato nuovo di Firenze. La villa fu dotata di un nuovo acquedotto potenziato poi nel 1914 e successivamente nel 1931 collegato alla nuova dorsale proveniente dal Monte Amiata.
Dopo il 1870 furono realizzati: la casetta della barca sull’Ombrone (traghetto rimasto in attività fino ai primi anni ’60 del novecento), nuove stalle e magazzini a Finilessa, la Stazione ferroviaria con magazzino, stalle, piano caricatore per le merci nel 1881 a servizio dell’azienda lorenese, la caserma dei carabinieri nel 1891 (demolita successivamente nel 1934 per far posto alla nuova chiesa parrocchiale), un nuovo frantoio ai Magazzini (1901) e l’anno dopo fu introdotta la mezzadria con nuove case per i lavoratori agricoli nei nuclei esistenti (Magazzini, Stazione, Fornace, Vacchereccia).
Con l’inizio del conflitto della Prima Guerra mondiale, divenuti gli Asburgo-Lorena ormai nemici dell’Italia, nel 1915 la Tenuta di Alberese fu data in amministrazione controllata al duca Pietro Lante della Rovere che a fine conflitto, nel 1919, tentò l’acquisto di circa 6.000 ha. Ciò fu però bloccato nel 1921 dal Demanio Regio Italiano che nell’anno successivo (1922) passò alla confiscata di tutti i beni austriaci in Maremma e ceduti nel 1926 alla costituita Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.) la cui soppressione avvenne nel 1977 e il cui patrimonio fu ceduto nel 1979 alla Regione Toscana tutt’ora proprietaria di gran parte di tutti i beni immobiliari.
L’O.N.C. nel 1924-26 iniziò l’opera di bonifica del padule de La Giucola e delle atre aree palustri e umide della zona con la realizzazione di numerosi canali (Essiccatore principale, Scoglietto-Collelungo, Piscina Statua) e di una rete idraulica minore, con la costruzione di una idrovora per sollevare le acque e scaricarle in mare, di caselli idraulici per il controllo delle acque, con nuovi dissodamenti e livellamenti dei terreni, con la costruzione di strade e ponti, alberature di frangivento e la piantumazione di una imponente pineta costiera (produzione di pine, pinoli e per frangivento dell’aerosol marino) e di case per i coloni provenienti dal veneto (famigli dei combattenti al fronte della Grande Guerra).
In paese la villa lorenese fu ristrutturata come sede del direttore dell’Opera su progetto dell’Ing. Enzo Fedi nel 1932 in stile gentilizio, dalle linee eleganti su tre piani e con due grandi terrazze laterali. Furono realizzati gli uffici amministrativi e l’oleificio lungo la strada di accesso (la vecchia via Aurelia), ai piedi del poggio nacquero la cantina e la nuova chiesa di Santa Maria oltre alla sistemazione dell’area delle vecchie stalle e rondelli per la merca del bestiame che prese, da quel momento, la forma dell’attuale piazza del Combattente con le vie che la circondano intitolate a tutti i corpi militari dell’esercito, della marina e dell’aeronautica. Con questa nuova sistemazione urbanistica furono realizzati: le abitazioni per gli impiegati e i salariati agricoli, la scuola, la casa del medico, lo spaccio e alcune botteghe, il cinematografo, la caserma dei carabinieri e i nuovi centri di servizio a Spergolaia e ai Magazzini Alti oltre ad una Colonia marina diurna per i bambini a Marina di Alberese.
Nella campagna bonificata, dal 1931, furono realizzati ed assegnati, sul 44% dei terreni, 132 nuovi poderi della superficie di circa 23 ettari, con 15 bestie vaccine, un vigneto e un oliveto per le famiglie mezzadrili dei veneti (almeno 5/6 componenti lavorative) che cambiarono definitivamente il paesaggio rurale della Maremma (appoderamento sparso). Il
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rimanente 56 % pari a 3.800 ettari fu mantenuto in conduzione diretta con la presenza di salariati fissi e giornalieri per cica 150 famiglie.
Durante i lavori di bonifica tornarono alla luce una serie di reperti storici e di tesori, tra questi merita ricordare la statua (dal canale Piscina-Statua) dell’Imperatore Gallieno del III sec. conservata nella Villa Granducale, il tesoro della Bernarda nel 1932 di 76 fiorini d’oro del 1252 appena coniati dalla città di Firenze e di 37 denari della Repubblica di Lucca in argento della seconda metà del XII sec. a Vaccareccia nel 1933, oggi tutti conservati nei musei fiorentini.
Con il secondo dopoguerra e con la Riforma agraria del 1950 ebbe inizio una nuova fase storica che portò a sviluppare e far crescere la piccola proprietà coltivatrice abolendo la mezzadria e consegnando “la terra a chi lavora la terra” che promosse una trasformazione delle forme tradizionali di coltivazione e di allevamento e un cambiamento sociale ed economico straordinario.
Oggi la campagna appare come un giardino ben tenuto e offerto, con le sue numerose attività agrituristiche, ad un nuovo popolo di fruitori provenienti da tante parti d’Europa per ammirare le bellezze naturali del Parco della Maremma, il paesaggio toscano e per immergersi nelle tradizioni più antiche del mondo contadino e dei butteri a cavallo. Una storia che affonda le sue radici nel duro lavoro dei campi, nella trebbiatura di una volta, nella raccolta delle olive, nel preparare i fiaschi di paglia per la vendita del vino, nel lavoro dei carbonai, dei pinottolai, in quello dei massari, dei maniscalchi e sellai e nell’allevamento e nella merca del bestiame brado.
Alberese e il suo territorio si sono trasformati così da terra abbandonata a fattoria agricola e poi in un piccolo centro abitato cresciuto nel tempo (piani regolatori del 1974 e del 1996) che ha saputo però mantenere ancora in vita anche quei paesaggi ottocenteschi ben rappresentati nel passato nei quadri dei macchiaioli toscani. Arch. Pietro Pettini